L’inno Consors paterni luminis

Consors paterni luminis,

lux ipse lucis et dies,

noctem canendo rumpimus:

adsiste postulantibus.

5   Aufer tenebras mentium,

fuga catervas daemonum,

expelle somnolentiam,

ne pigritantes obruat.

Sic, Christe, nobis omnibus

10   indulgeas credentibus,

ut prosit exorantibus

quod praecinentes psallimus.

Praesta, Pater piissime

Patrique compar unice

15   cum Spiritu Paraclito

regnans per omne saeculum.

sancta_trinitas

Questo bell’inno viene recitato ancor oggi all’Ufficio delle letture nei martedì delle settimane I e III del salterio, pur con una dossologia differente (su cui tornerò). Composto in dimetri giambici e attribuito talvolta a Sant’Ambrogio, il testo è in realtà anonimo e databile probabilmente tra VI e VII secolo. Oltre che per la sua indubbia qualità e per la sua sopravvivenza d’uso, è famoso per essere stato il punto di partenza del Cantique de Jean Racine composto dal giovanissimo Gabriel Fauré nel 1864, utilizzando la parafrasi francese di questo inno realizzata dal drammaturgo Racine.

Il componimento si contraddistingue per l’elaborata costruzione retorica dell’invocazione a Cristo e per l’incalzante serie delle richieste, con un’insistenza studiata sul tema sia letterario sia teologico della luce. Particolarmente appropriata per le ore iniziali della giornata (come in questo caso) o per quelle finali, la contrapposizione tra la lucentezza di Cristo e l’oscurità delle tenebre convoglia il superiore contrasto tra la forza rasserenante della Fede, grazie all’assistenza di Cristo e dello Spirito Santo, e l’incertezza e la paura dello smarrimento di chi ancora sonnecchia nell’errore (su ciò ci siamo già soffermati a proposito dell’inno Te lucis ante terminum: https://cattomaior.wordpress.com/2013/11/20/te-lucis-ante-terminum/). Limitandoci a qualche saggio, non si può non ammirare la ricercatezza delle scelte poetiche: la variatio tra lumen e lux (pressoché immantenibile nell’italiano corrente), il termine ricercato consors, il poliptoto luxlucis, l’uso del verbo adsisto nel suo valore etimologico forte per esprimere il desiderio di avere Cristo al proprio fianco, la successione incalzante di quattro imperativi in apertura dei vv. 4-7 (con negli ultimi tre il parallelismo di costrutto verbo + complemento oggetto) e la variatio della proposizione finale al v. 8,  la scelta del rarissimo pigritor (usato praticamente solo nella Vulgata), la successione di tre versi terminanti con l’omoteleuto –ibus (vv. 9-11) e l’uso dei verbi tecnici praecino e psallo (propriamente «canto stando di fronte» e «canto al modo dei salmi»).

Di particolare interesse è la dossologia, presentata qui nella forma accolta da Walpole (cfr. Early Latin Hymns, h. 65, pp. 268-269) sulla base della sua insistita presenza nei manoscritti, diversa da quella utilizzata nel Breviario (Sit, Christe, rex piissime / tibi Patrique gloria / cum Spiritu Paraclito / in sempiterna saecula). Anche in questo caso è impossibile affermare con certezza la sua autenticità, in quanto essa può essere stata aggiunta in un secondo momento, ma ritengo errata l’espunzione a prioristica e generalizzata di ogni dossologia dagli inni medievali (cfr. p.es. Giuseppe Berta, che nel suo Inni di S. Ambrogio del 1841 presentò questo testo solamente nelle prime tre strofe: h. III, p. 26), soprattutto quando ci sia una significativa sintonia tra le versioni tradite. La versione che accetto gioca l’invocazione alla Santa Trinità in maniera originale, soprattutto nel riferimento alla persona del Figlio tramite la ricercata perifrasi «unico pari al Padre» (che permette inoltre il poliptoto PaterPatri) e nell’insolita espressione temporale al singolare per omne saeculum. La versione presente nel Breviario Romano risulta, a mio parere, inferiore sia da un punto di vista letterario sia teologico sia filologico: letterario in quanto ripete l’invocazione Christe già presente al v. 9, perde il già citato poliptoto e rinuncia alla perifrasi; teologico in quanto stravolge il consueto ordine Padre – Figlio – Spirito Santo; filologico in quanto risulta complessivamente composta da scelte faciliores, a partire dalla consueta chiusura in sempiterna saecula al posto dell’insolito singolare.

Fornisco una mia modesta traduzione italiana, per quanto in diversi punti la sintesi e la poeticità del latino risulti inavvicinabile senza scontare il fio di banalizzazioni e perifrasi. Invito anche coloro che non conoscessero la lingua latina a scorrere il testo originale, del quale riusciranno comunque a cogliere l’artificiosità poetica e l’ispirazione.

Compartecipe della luce paterna,

tu stesso luce di luce e giorno,

cantando spezziamo la notte:

assisti noi che ti preghiamo.

5   Porta via le tenebre delle menti,

metti in fuga le orde di demoni,

espelli la sonnolenza,

affinché non prenda il sopravvento sui pigri.

Così, Cristo, verso tutti noi

10   che crediamo sii benevolo,

come giovi a coloro che pregano

ciò che, cantando, salmodiamo.

Ascolta, Padre piissimo

15   e unico pari al Padre

con lo Spirito Paraclito

regnando per ogni secolo.

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