Te lucis ante terminum,
rerum Creator, poscimus,
ut solita clementia
sis praesul ad custodiam.
Te corda nostra somnient,
te per soporem sentiant
tuamque semper gloriam
vicina luce concinant.
Vitam salubrem tribue,
nostro calorem refice,
taetram noctis caliginem
claritas tua illuminet.
Questo inno anonimo, breve ma estremamente efficace nella sua semplicità e bellezza, è datato solitamente tra V e VI secolo. Coincide nella prima strofa, salvo una variante al v. 3, con il celeberrimo breve inno recitato a Compieta (ovviamente, a partire dal CVII, in traduzione), mentre le strofe 2 e 3 sono attestate anche in Cesario di Arles. Risalta con evidenza l’insistenza sulle immagini di luce, tanto frequenti nell’innografia e tanto artisticamente variate, soprattutto nella contrapposizione con le tenebre che minacciano costantemente l’uomo. La richiesta di protezione durante la notte possiede una speciale dolcezza, che nasce dalla consapevolezza – frutto della Fede – della protezione di Dio per i suoi figli (solita clementia). La notte del componimento è sì quella contingente che si appressa all’orante, ma è anche per estensione un’immagine delle difficoltà della vita nelle quali, privato di guida e di riferimento, l’uomo senz’altro si smarrirebbe. Il fedele è certo del ruolo fondamentale di Dio, ribadito anche retoricamente dall’incalzante anafora del pronome te e dall’uso dell’aggettivo tuus: solo Dio può donare sonni sereni e vita sana e giusta, solo a Lui si addice l’onore e la gloria.
Prima del termine della luce te,
Creatore di ogni cosa, preghiamo,
affinché la tua consueta misericordia
sia preposta alla nostra custodia.
Te i nostri cuori sognino,
te durante il sonno percepiscano
e sempre la tua gloria
facciano risuonare quando la luce s’avvicina.
Concedi una vita salutare,
rianima il nostro calore,
la tua lucentezza illumini
la tetra caligine della notte.
( – traduzione di Catto Maior – )
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