La nozione errata di “mistero pasquale” – parte I

Avvicinandosi la Santa Pasqua, ritengo appropriato affrontare una questione teologica e liturgica di notevole importanza, per quanto sia necessariamente piuttosto complessa. Mi riferisco alla nozione di “mistero pasquale”, tanto in voga quanto poco appropriata. Con la mente rivolta al sacrificio sommo di Nostro Signore Gesù Cristo, leggiamo l’analisi puntuale e chiara che ne fa Paolo Pasqualucci in un suo recente volume, toccando questioni critiche come il significato stesso della Messa e la differenza tra la Consacrazione nel vetus ordo e quella nel novus:

Sacrificio di Cristo

Questa nuova teologia [: della riforma liturgica] ha portato al «progressivo oscuramento della Croce» ([Gnocchi&Palmaro, La Bella Addormentata,] p. 202). Essa esalta “l’amore di Dio, l’iniziativa di Dio e la nuova vita della Resurrezione” facendo passare in secondo piano «la necessità di soddisfare la giustizia divina, la Passione di Gesù e la cooperazione dell’uomo [alla Grazia, per ottenere la salvezza, che si deve volere]» (ivi). Gli autori citano un teologo che partecipò al Consilium per la riforma liturgica, P. Aimon-Marie Roguet, il quale, in un saggio del 1961 sul concetto di “mistero pasquale” negava che la Redenzione così intesa sarebbe stata contraria alla bontà di Dio. Non è concepibile che il Padre «trasferisca la sua collera sul suo Figlio diletto» (pp. 202-203). E allora? Allora bisogna vedere nella Messa il “mistero pasquale” che si conclude con la Resurrezione di Nostro Signore, in modo che «la nostra salvezza appaia operata da un atto vitale e gratuito, una libera iniziativa di Dio, uscita totalmente dal suo amore misericordioso» (p. 203).
Elucubrazioni siffatte, osservo, implicano che la Chiesa si sia sbagliata per quasi duemila anni nell’intendere il significato della Redenzione, il che è assurdo. È comunque evidente che ai teorici del “mistero pasquale”, termine completamente nuovo, inventato dal citato P. Roguet, la Giustizia divina sembra del tutto incompatibile con la Misericordia divina: bisogna allora eliminarla, questa Giustizia che, come rivelato più volte nei Vangeli, e confermato dalla predicazione degli Apostoli, condanna i peccatori impenitenti all’Inferno, dal quale mai più usciranno («Via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi angeli» Mt 25, 41). Occorreva allora elaborare un nuovo rito della Messa, che mutasse significato alla Passione e alla Croce, staccandole dalla loro intrinseca connessione con l’esigenza della Giustizia divina, esigenza che è a fondamento anche del significato propiziatorio della Messa, in quanto appunto sacrificio della vittima innocente richiesto dalla divina Giustizia per placare la sua ira e concedere misericordia per i nostri peccati[n. 19: L’illustre teologo e liturgista francese P. Louis Bouyer, morto nel 2004 a 91 anni, in un saggio del 1945 aveva già dimostrato che il termine “mistero pasquale, che tutti credono oggi espressione corrente nella Patristica e durante il Medio Evo”, è stato appunto inventato dal suddetto P. Roguet, “dato che il latino cristiano conosceva Paschale Sacramentum ma non Paschale Mysterium, termine che non ha mai avuto equivalente in greco” (dall’articolo commemorativo su Louis Bouyer scritto da GEORGES DAIX, Louis Bouyer, “Catholica”, Hiver 2004-5, n. 86, pp. 74-77; p. 76). Il Padre Bouyer aveva pubblicamente definito “miserabili carnevalate” i riti della “nuova liturgia”, attirandosi l’odio dell’intero episcopato francese (ivi).].
[…] E questo cambiamento di prospettiva, che porta in sostanza a escludere la Passione dalla Redenzione, è stato esiziale per la Messa. La Messa del Novus Ordo viene chiamata con il nuovo termine di “mistero pasquale” proprio per mettere l’accento sulla Resurrezione e l’Ascensione: «la Resurrezione non appare più come un epilogo, ma come un termine e il fine del quale si riassume il mistero della salvezza» (p. 205). Non appare più come la conseguenza della Passione, che ne costituisce la conditio sine qua non. Come spiegò Gesù stesso, rivelando il senso delle profezie, solo dopo aver sofferto acerbamente a Gerusalemme «da parte degli Anziani, degli Scribi e dei sommi sacerdoti, ed esser ucciso», il Cristo sarebbe risorto dai morti (Mt 16, 21), ottenendo in tal modo il premio eterno per la sua obbedienza alla volontà del Padre, che voleva il Sacrificio della vittima innocente (Lettera agli Ebrei 2, 5-18; 5, 7-10). La Resurrezione non è più subordinata alla Passione e alla Croce, da Cristo liberamente accettate, concludono i nostri Autori, che richiamano concisamente la dottrina ortodossa, come esposta da Pio XII nell’enciclica Haurietis Aquas (pp. 205-206).
Ciò significa che la Messa ha mutato di significato; ora essa è vissuta soprattutto come memoriale della Resurrezione di Nostro Signore, nel quale il popolo di Dio riunito in assemblea celebra gioiosamente e collettivamente il “mistero pasquale” assieme al “presbitero” che la “presiede” e la “anima”. In senso secondario, la Messa è certamente anche “memoriale”, ma comunque sempre della Passione, non della Resurrezione. È un dato di fatto, annoto, riconosciuto ormai dalla stessa autorità competente: la maggior parte dei fedeli non crede più nel significato di sacrificio propiziatorio ed espiatorio della S. Messa. E di questa mutazione radicale, dobbiamo ritenere innocente il Concilio? In senso diretto, sembrerebbe di sì. Ma la Messa del Novus Ordo, che sarebbe l’attuazione finale della riforma liturgica messa in cantiere dal Concilio, mutando la formula della Consacrazione del vino con il togliere da essa l’espressione “mistero della fede”, per applicarla subito dopo a un contesto di tipo escatologico, non ha contribuito per la sua parte alla mutazione? Nel Canone della Messa di rito romano antico, che, secondo una tradizione costante, risale ai tempi apostolici, il sacerdote dice sottovoce, in modo da non essere udito: «Hic est enim Calix Sanguinis mei, novi et aeterni Testamenti: Mysterium fidei: Qui pro vobis et pro multis effundetur in remissionem peccatorum». Traduzione: «Poiché questo è il Calice del Sangue mio, della nuova ed eterna Alleanza – mistero della fede – il quale sarà sparso per voi e per molti in remissione dei peccati». Subito dopo, deposto il calice sul corporale, dice sempre in segreto, in latino: «Ogniqualvolta farete questo, lo farete in memoria di me». Poi adora il calice genuflettendosi, si alza e lo mostra al popolo, lo depone, lo ricopre e si genuflette di nuovo. Il ministro suona tre volte il campanello. Dopo di che, l’officiante, sempre in segreto, recita sempre in latino l’anamnesi o ricordo della morte del Cristo. In questa preghiera vengono menzionate anche la Resurrezione e l’Ascensione, ma in posizione secondaria:
Laonde, o Signore, anche noi tuoi servi, come altresì il tuo popolo santo, ricordando la beata passione [la morte] del medesimo Cristo tuo Figliolo, nostro Signore, come anche [nec non] la sua resurrezione dagl’Inferi, ed anche [sed et] la sua gloriosa ascensione in cielo, offriamo all’eccelsa tua maestà, etc.

(Paolo Pasqualucci, Cattolici, in alto i cuori!, pp. 66-71)

(continua: https://cattomaior.wordpress.com/2014/04/16/la-nozione-errata-di-mistero-pasquale-parte-ii/)

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